Non c’è niente di più bello che visitare una mostra unica nel suo genere e farlo in un palazzo cinquecentesco che fino a qualche anno fa era la dimora privata di una famiglia bergamasca e che da qualche mese si è “aperto al pubblico” per ospitare manifestazioni e iniziative culturali. Ecco perché dovete assolutamente affrettarvi e visitare la mostra L’Incanto Svelato che si tiene in questi giorni a Palazzo Polli Stoppani in Città Alta.
Il 24 febbraio sarà l’ultimo giorno per visitarla e per mettere un piedino dentro uno dei palazzi più belli di Città Alta.
Vi ho già parlato di Palazzo Polli Stoppani che da solo vale una visita, ma non vi ho ancora raccontato di questa mostra che offre un itinerario davvero interessante e pieno di spunti dal Trecento ai giorni nostri con oltre settanta opere, prevenienti dalla Collezione della Fondazione CARIPLO e da prestigiose raccolte bergamasche. Tra gli artisti in mostra troviamo Giambattista Tiepolo (molto attivo a Bergamo), Evaristo Baschenis (il pittore bergamasco che disegnava oggetti con un tale realismo da far venir voglia di spolverare la polvere dipinta), Luca Carlevaijs, Giuseppe Maggiolini, Giacomo Manzù (di cui abbiamo moltissime testimonianze in città), Eleuterio Pagniano e Guglielmo Ciardi. Per non parlare dell’eccezionale presenza di uno dei dieci capolavori del Tesoro di San Gennaro di Napoli.
Insomma, non perdetevela.
L’Incanto svelato dalla meraviglia
“L’incanto svelato. L’arte della meraviglia da Tiepolo a Manzù”, è una mostra promossa dalla Fondazione Cariplo e dalla Fondazione della Comunità Bergamasca, all’interno del progetto Open che sta portando il patrimonio artistico dell’ente milanese nelle province lombarde, tra cui Bergamo.
Il filo rouge della mostra è quello della meraviglia. Meraviglia come scoperta del mondo: dalla conoscenza scientifica, raccontata attraverso l’allegoria, al ritratto e la Wonderkammer – ossia la camera delle meraviglie dove erano raccolte le collezioni di principi e scienziati del Rinascimento. Meraviglia come finestra sul mondo da offrire allo sguardo incantato che si posa sul paesaggio del Settecento e dell’Ottocento.
Le opere esposte
Le opere in mostra accompagnano il visitatore in un suggestivo e appassionante viaggio, durante il quale ogni sosta davanti ad un’opera d’arte è la rivelazione di un mondo: un incanto che si svela e che lascia senza fiato.
In mostra presenze eccezionali: dalla preziosissima Tavola su fondo oro di fine Trecento appartenente alla Fondazione Polli Stoppani, alle composizioni di Evaristo Baschenis prestate da alcuni privati, fino ai due monumentali dipinti giovanili di Giambattista Tiepolo e alla splendida Croce proveniente dal Tesoro di San Gennaro di Napoli.
Il percorso è arricchito da antichi strumenti scientifici, tra i quali la macchina planetaria di Giovanni Albrici – proveniente dal Gabinetto di Fisica del Liceo Classico Paolo Sarpi -, da oggetti rari, strani e preziosi, tratti dal mondo naturale o creati dall’uomo, che facevano parte delle Wunderkammern, camere delle meraviglie dove principi, studiosi e scienziati riunivano le loro collezioni fin dal Cinquecento.
La prima sezione della mostra L’Incanto Svelato
All’idea di meraviglia che, almeno fino alla metà del Settecento, sta all’origine della ricerca scientifica è dedicata la prima sezione della mostra, che affronta il tema attraverso il mito, il ritratto e la natura morta suggerendoci molteplici punti di vista e spunti inediti.
Nel mutevole confine tra ragione, metodo e bellezza si colloca un capolavoro dell’abate e
geniale scienziato Giovanni Albrici, che verso il 1781 riproduce il sistema solare e la volta celeste nella sua macchina planetaria dove le costellazioni sono punteggiate da luminosi cristalli e stelle dorate (Gabinetto di Fisica del Liceo Classico Statale “Paolo Sarpi”).
Soffermatevi a guardarlo e fatevelo raccontare.
Questo grande modello copernicano del sistema solare, con i pianeti, la fascia dell’eclittica e il cielo stellato, è stato ideato da Abrici per l’impiego didattico ma anche (e soprattutto) per suscitare quella «meraviglia» di cui parlavamo prima. Guardate la palla dorata del Sole intorno alla quale ruotano i pianeti minori, Venere e Mercurio, materializzati in piccoli cristalli di rocca tagliati a forma di diamante. La Terra è un piccolo globo su cui distinguiamo i continenti e la Luna è una perla di fiume che gli gira intorno. E poi avvicinatevi e guardate quelle piccole sfere di metallo: sono Marte, Saturno, Giove, con i loro satelliti-cristalli. Ad avvolgere i pianeti è il globo celeste, costituito da un’intelaiatura di fili d’ottone che tracciano meridiani e paralleli, ai quali sono fissate sagome di cartone, nelle sfumature dell’azzurro, che riproducono le costellazioni dello Zodiaco. Sono punteggiate di stelle in piccoli cristalli o dipinte in oro e vi faranno dire che… è una meraviglia!
Ma veniamo ora alla sala del Mito, della Scienza e della Vanitas…
Lo sguardo che l’uomo rivolge al cielo genera dapprima leggende e miti, come nella straordinaria e unica testimonianza della produzione profana di Enea Salmeggia che racconta il momento in cui Diana scopre la gravidanza – e con essa il tradimento – dell’amata Callisto. La scena si svolge nella zona boschiva di un acquitrino e vede Diana intenta ad accusare Callisto di aver ceduto alle lusinghe di Zeus mentre due ninfe tentano di spogliare la giovane per verificare se sia davvero incinta .
Nella mitologia greca le due Orse sono i gruppi stellari nei quali Giove trasformò la ninfa Callisto (Orsa Maggiore) e suo figlio (Orsa Minore). Callisto, figlia di Licaone, re d’Arcadia, zona centrale del Peloponneso, sarebbe stata sedotta da Zeus (Giove per i latini) il quale per proteggerla dalla gelosia d’Era (Giunone per i latini), sorella e moglie di Zeus, la trasformò in orsa. In seguito, il figlio Arcade, mentre andava a caccia si sarebbe imbattuto nell’orsa cosicché Zeus, per evitare un matricidio, pensò bene di portare Callisto e Arcade in cielo.
Il fascino degli antichi strumenti scientifici – simboli di appartenenza sociale e culturale – ritorna anche nel “Ritratto d’uomo” (Collezione Fondazione Cariplo), nel quale facilmente si riconosce un astronomo -, qui accostato al “Ritratto di Isaac Newton” (Lovere, Galleria dell’Accademia Tadini).
Una storia d’amore e di scienza
Questo ritratto racconta una storia molto particolare: una storia d’amore non proprio meravigliosa, ma sincera (almeno da una parte). Il quadro che raffigura Isaac Newton fu fatto realizzare in onore di un intellettuale italiano andato a studiare fisica a Londra, di cui si era invaghita una nobildonna inglese che per lui lasciò marito e patria.
Si chiamava Mary Montegou ed era già conosciuta per essere una donna “libera”, una scrittrice e una esploratrice di indubbio valore, il cui matrimonio però era in crisi da tempo. Ne approfittava per viaggiare e scrivere i suoi reportage. Il 2 luglio 1739 la donna lascia Londra per venire in Italia adducendo come pretesto una vacanza di salute: in realtà si trattava di una fuga d’amore, risoltasi in una sorta di esilio volontario durato ventitré anni. Non avrebbe più rivisto il marito e sarebbe rientrata in Inghilterra solo per morirvi nel 1762. Algarotti, così si chiamava l’intellettuale di cui si era invaghita, finisce suo malgrado per deluderla non potendo ricambiare l’amore della donna in quanto omosessuale e così Lady Mary Montegou finisce per legarsi al conte bresciano, Ugolino Palazzi, che la fece arrivare a Lovere.
Lady Mary si stabilisce sulla sponda bergamasca del Lago d’Iseo e inizia a partecipare attivamente alla vita culturale di Lovere. Le prime parole della prima lettera scritta alla figlia Bute il 24 luglio 1749 sono memorabili: «Il luogo in cui mi trovo è il più romantico che abbia mai visto in vita mia» che diventerà la frase che oggi troviamo sulle vetrate del lungolago di Lovere. E quando vi capiterà di passeggiare a Lovere e leggere questa frase, ricordatevi di questa donna che lasciò tutto per amore, non una, ma due volte e di cui vi racconterò presto.
Il Conte Tadini di Lovere acquistò probabilmente il ritratto di Newton, che vediamo nella foto e che oggi fa parte della collezione della Galleria Tadini, dalla Montegou quando questa si preparava a tornare in patria smantellando l’appartamento che si trovava a Palazzo Bazzini di Lovere.
Dalla Scienza alla Vanitas
Tornando alla meraviglia della scienza, la natura morta del maestro bergamasco Bartolomeo Bettera è un vero e proprio palcoscenico barocco dove – tra fogli e strumenti musicali – spiccano la sfera armillare e il volume “Dello specchio di scientia universale” dell’eccentrico scienziato e intellettuale Leonardo Fioravanti. Il quadro vi ricorderà le composizioni di Baschenis (che trovate nella Stanza delle Meraviglie) con la polvere sugli strumenti musicali…
Se le conquiste scientifiche sono destinate ad affermarsi pienamente nella loro autonomia e originalità in epoca moderna, spingendosi fino a conferirci l’illusione del dominio dell’uomo sulla natura, il senso di precarietà della condizione umana e i limiti della conoscenza continuano a essere registrate dall’arte, in opere come la “Vanitas”, tela inedita di un pittore vicino a Guercino, il “Vecchio con bottiglia da pellegrino e globo” di Pietro Bellotti e bottega. Infine, ecco la “Civetta” per la Porta della Morte in San Pietro in Vaticano di Giacomo Manzù. L’artista incastonò questo rapace come simbolo associato al tema della morte, insieme al ghiro, al riccio, alla tartaruga che uccide il serpente e al corvo che mangia il lombrico.
A proposito, vedete quel barbagianni nella foto sopra a sinistra del bambino? Nel titolo del quadro non si parla di barbagianni, ma di civetta. Questo perché quando il pittore dipinse l’opera probabilmente non conosceva la differenza tra i due rapaci e lo fece usando un modello sbagliato. Per questo anche la guida continuerà a chiamarla Civetta, fateci caso!
La camera delle meraviglie
La scienza è anche uno dei temi chiave delle Wunderkammern (camere delle meraviglie)
collezioni di tesori dei principi, ma anche di eruditi e scienziati, diffuse a partire dal tardo rinascimento in area tedesca e italiana.
Antesignane del museo moderno, queste stanze segrete raccoglievano naturalia e artificialia, oggetti rari e preziosi tratti dal mondo naturale o creati dall’uomo, infine smantellate con l’affermazione degli ideali razionali e scientifici dell’Illuminismo e la conseguente nascita dei musei moderni.
La mostra ospita una piccola selezione di manufatti e reperti che riconducono a quel gusto, accostati a straordinari esempi di arte africana – con un richiamo agli exotica che fin dal Cinquecento popolavano gli studioli – e ad alcuni dipinti, come il presunto “Ritratto del naturalista Ulisse Aldrovandi” di Agostino Carracci e la sensazionale Natura morta con strumenti musicali di Evaristo Baschenis che vi invito davvero ad osservare bene perché il suo livello di perfezione è davvero stupefacente.
La seconda parte del percorso
La seconda parte del percorso è dedicata alla pittura di paesaggio tra Settecento e
Ottocento, intesa come una finestra sul mondo da offrire allo sguardo incantato del visitatore.
Dalla “Lezione di geografia” di Eleuterio Pagliano, prestito eccezionale proveniente dalle Gallerie d’Italia di Milano, alla splendida coppia di “Cacciatori” di Giambattista Tiepolo, dipinti che ci invitano a superare il limite tra la realtà e l’illusione della pittura per entrare in un mondo di terre, fiumi e città, tra scorci inaspettati e impressioni di luce.
Qui troviamo i paesaggi di Dughet, Carlevarijs, Charles François Nivard, Marco Gozzi, fino a quelli del romantico Ramsay Richard Reinagle e dei naturalisti Angelo dall’Oca Bianca e Guglielmo Ciardi, cui sono accostate le vedute di Bergamo del Nebbia e di Venezia di Francesco Albotto, affiancate dalle “Maschere e venditrice” di Giacomo Ceruti.
Creatrice di paesaggi che risplendono di riflessi e di emozioni nella pittura dell’Ottocento, l’acqua è il motivo ispiratore del lightbox, reinventato in chiave onirica dal giovane e brillante pittore di origini bergamasche, ma di fama internazionale Andrea Mastrovito . Accanto alla sua opera anche le sculture di Fernando Botero, Pablo Atchugarry e Luciano Minguzzi.
La terza sezione della mostra
Nella terza sezione della mostra il tema del sacro è legato al meraviglioso in un intreccio di devozione e spiritualità, invenzione e spettacolarità. La sala si apre con la grande tavola su fondo oro della fine del Trecento della Fondazione Polli Stoppani.
Tra le dieci meraviglie del Museo del Tesoro di San Gennaro di Napoli, la grande croce d’argento e coralli ci incanta con la sua preziosità e con la sua storia centenaria di devozione popolare.
Dialoga con quest’ospite illustre il “Pastorale” di Giacomo Manzù che viene dal Seminario Vescovile Giovanni XXIII, un capolavoro di oreficeria che traduce con forte impatto scultoreo il messaggio di Papa Giovanni XXIII, fondato sulla forza rivoluzionaria della fedeltà e obbedienza interiore alla parola di Dio.
La mostra è davvero interessante. Quello che vi ho raccontato è solo una parte di quello che potete scoprire, grazie anche alle giovani guide impegnate nel progetto di alternanza lavoro che vi illustreranno le opere.
Non perdetevela, mi raccomando: mancano pochi giorni!
L’ingresso è gratuito.
Note
Le foto sono mie e sono state scattate durante la visita a Palazzo Polli domenica mattina.
Palazzo Polli Stoppani,
via San Giacomo, 9 – Città Alta, Bergamo
Orari d’apertura
giovedì e venerdì: 16-19
Sabato e domenica: 10-19
La mostra termina il 24 febbraio.
Anche io amo visitare le mostre. Qui, a Roma, sono fortunata perchè ne fanno tante e davvero molto ben curate. Questa che racconti tu è bellissima. peccato non poter essere da quelle parti.
Se posso mi piace sempre andare a visitare dlle belle mostre 😀 danno sempre l’occasione di scoprire un’aspetto diverso di una città o di darvi un approfondimento!
E’ davvero un incanto, hai perfettamente ragione, purtroppo non potrò visitarlo, ma con il tuo racconto e le tue foto è come se lo avessi visitato.
Sono stata a Bergamo una sola volta, ma mi piacerebbe molto tornarci
Non posso non amare le mostre visto che ho studiato storia dell’arte per anni e anni!
Bacioni
Rossella
Peccato di non riuscire!!! sarebbe stato bello, unendo magari la visita a una cena nei posti limitrofi!!!
cercherò di approfittarne.. davvero interessante
Davvero una bella mostra, credo sia un evento molto interessante
mi hai assolutamente conquistata con questo articolo. dovrei venire a bergamo con un amico in questi e gli proporrò questa mostra. mi piacerebbe moltissimo vederla, soprattutto per le opere di Tiepolo e i miti greci.
questa mostra sembra davvero interessante, purtroppo la distanza non aiuta in certe cose
Non conoscevo questa parte della storia di Newton, la mostra invece sembra interessante. 🙂
Ma quanto mi piacerebbe vedere questa mostra. Io adoro la scienza e tutto ciò che ci sta attorno, e questa mostra sembra fatta apposta per me, in una location poi incredibile
Ho come idea che mi perderò questa meraviglia. Spero la riaprano prima o poi!
Conosco solo il Tiepolo e Botero, ma più di tutti mi incuriosisce la macchina delle costellazioni, un pezzo davvero unico al mondo.
Peccato non riuscire a far combaciare le date con i miei impegni lavorativi, Bergamo non è molto distante da dove abito io e queste mostre, questi palazzi storici, mi sono sempre piaciuti tantissimo
beh è proprio il caso di esclamare “Che meraviglia”. Adoro girare per mostre, ma questa da come ne parli sembra avere proprio una marcia in più! mi ha molto incuriosito il tuo articolo…chissà se riesco a passare da quelle parti per poter partecipare.
Dovrai cercarlo in rete per conoscere la prossima destinazione della mostra. A Bergamo si è chiusa ieri.