Alpinismo bergamasco: un’avventura che comincia sulle Orobie e finisce nei libri, a teatro e al cinema.

Questa notte, mentre decidevo il tema del nuovo articolo per Cose di Bergamo e facevo un po’ di ordine tra tutte le cose successe durante la settimana e quelle programmate per la prossima, ho notato un fil rouge legato alla montagna e all’alpinismo bergamasco che non potevo ignorare. E siccome le cose non accadono mai per caso, ho deciso di farmi guidare da questo filo rosso seguendo le notizie, le suggestioni, i libri e le persone che si rincorrono nei miei pensieri in questi giorni.

Vi ho già raccontato del film Le Traversiadi sulla traversata delle Orobie con gli sci e, ormai sapete che pur non amando il freddo e la neve, ne sono rimasta colpita. E qualche giorno fa, uno degli alpinisti più conosciuti della bergamasca, Simone Moro, ha avuto un incidente che lo ha costretto a interrompere una delle sue imprese. Ne sono rimasta così impressionata che mi sono chiesta cosa spinge uomini come lui ad affrontare pericoli che noi non ci possiamo neanche immaginare.  E così dopo aver riletto uno dei suoi libri, ho acquistato il biglietto per la pièce teatrale “E’ questa la vita che sognavo da Bambino?” con Luca Argentero, per conoscere meglio la storia di un altro grande dell’alpinismo italiano: Walter Bonatti, nato a Bergamo nel 1930. E dal teatro al cinema il passo è breve ed eccomi alla scoperta di Off (Orobie Film Festival) la rassegna cinematografica dedicata alla montagna che si sta svolgendo proprio in questi giorni.

Perchè anche seguire questo filo rosso sulle Orobie può essere un’avventura: una delle 101 cose da fare almeno una volta nella vita a Bergamo e provincia

Orobie

E’ questa la vita che sognavi?

Qualche giorno fa un’opera dell’artista patavino Kenny Random è apparsa misteriosamente sulla parete esterna di un edificio in Valle Imagna, una delle valli della Bergamasca che ho scoperto e raccontato da quando ho aperto questo blog. Random è uno degli street artist italiani che mi piace di più, tanto che ogni volta che vado a Padova mi prendo sempre un paio d’ore per andare ad ammirare le sue opere. Ce n’è una in particolare che amo molto e che si intitola “E’ questa la vita che sognavi?”

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E’ questa la vita che sognavo? E’ anche meglio.

Kenny Randon non è l’unico a fare questa domanda. Come lui anche Jovanotti nel refrain di una canzone. Ma anche io me la faccio spesso. La mia risposta è “No, non è quella che sognavo da bambina. Ma forse si. Anzi, è meglio”. Il mio primo ricordo nitido di quando ero bambina è un quaderno con la copertina rossa e le pagine a quadretti. Lo tenevo su uno scaffale della libreria della mia cameretta ed era il quaderno su cui scrivevo gli appunti per il mio primo romanzo. Avevo 7 o 8 anni: ero già una forte lettrice e volevo diventare una scrittrice.

Ma la verità è che quando ero bambina non immaginavo nemmeno che la mia vita avrebbe potuto prendere (e ha preso) questa piega. Sapevo che avrebbe avuto a che fare con la scrittura (nonostante qualcuno al liceo un anno lo mise in dubbio). Anni dopo, quando finalmente cominciai a scrivere per i giornali e a lavorare negli archivi delle case editrici pensai che dovevo cogliere nuove opportunità ed entrai in azienda, dall’altra parte della barricata. Ma non avrei mai immaginato che alle soglie dei 50 anni sarei potuta diventare  una blogger indipendente che racconta Bergamo e le cose di Bergamo e della Bergamasca.

E’ questa la vita che sognava Simone Moro?

E bergamasco DOC è Simone Moro, uno degli alpinisti più noti e amati di Bergamo: il secondo puntino che sto per collegare inseguendo questo fil rouge.

E’ di qualche giorno fa la notizia che Moro è scampato per un soffio alla morte, grazie alla sua prontezza di spirito e all’esperienza. Era impegnato in una delle sue imprese sulle cime più alte del mondo e ad un certo punto è caduto a testa in giù per venti metri in un crepaccio. Si è salvato perché è riuscito ad assicurarsi con un chiodo ad una parete e salvandosi ha salvato anche la sua compagna di spedizione che sarebbe certamente scivolata con lui se non fosse riuscito ad arrestare la corsa verso il basso.

L’alpinista che ci porta in vetta con la radio

Non conosco personalmente Simone Moro, nonostante mi riprometta ogni volta che pubblica un libro oche tiene una conferenza sulla montagna di andare ad intervistarlo, ma lo leggo e lo seguo da molti anni. A lui è legato il ricordo di un viaggio in macchina sulla A4, tornando a casa, mentre andava in onda il collegamento dall’Everest con una trasmissione su Radio 24. Il direttore di allora, Giancarlo Santalmassi, durante uno dei primi collegamenti della storia dalla vetta più alta del mondo, lesse il messaggio di un radioascoltatore, padre di un bambino disabile, che ringraziava Simone per quello che faceva, perché i suoi racconti lo portavano in vetta e portavano in vetta anche suo figlio. Ero in macchina e stavo tornando a casa: quella lettera mi commosse al punto che dovetti fermarmi per asciugarmi gli occhi.

L’alpinista che ci racconta il suo mondo

Da allora ho letto quasi tutti i suoi libri. L’ultimo è uscito in libreria da poco e mi sta guardando dal comodino in fondo alla pila di libri che mi hanno regalato a Natale e che devo ancora leggere. Ma prima di cominciare la lettura de “I sogni non sono in discesa” che sembra quasi profetico visto che stava per finire la sua corsa cadendo in un crepaccio,  sono andata a rileggermi il suo “Devo perché posso, la mia via per la felicità oltre le montagne” scritto nel 2016 dove si racconta così:

Quando mi presento dico: “Mi chiamo Simone Moro, sono di Bergamo, ho quarantanove anni (oggi 52 ndr) e faccio l’alpinista”. Sono un uomo che sin da ragazzo ha sognato e che ha lavorato duro perché questi sogni si realizzassero. Il più grande sogno fin da piccolo è stato salire  in alto, il più possibile, fin sulle vette più elevate del pianeta, ovviamente a piedi. Scalando, trovando il mio stile, la via personale alla vetta.

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Ecco, lui è uno di quelli che fin da piccolo sapeva quello che avrebbe voluto fare, quello che lo avrebbe reso felice. E c’è riuscito. Anche se questo vuol dire fatica, sacrificio, pericolo, a volte anche dolore. Ma vuol dire sicuramente determinazione, soddisfazione, gioia, entusiasmo, passione…

La vita di Simone Moro è un potentissimo sogno verticale. È una vertigine scatenata da una passione assoluta, divorante. Quella passione che è la forza propulsiva indispensabile per realizzare grandi imprese, per andare oltre. Simone Moro è un uomo felice e la sua felicità nasce dalla consapevolezza di avere un sogno e dal tentativo di realizzarlo giorno dopo giorno.

E siccome i punti da mettere in fila sono davvero più di uno, ecco il successivo.

“E’ questa la vita che sognavo da bambino?” a teatro

Il giorno in cui ho pubblicato l’articolo sulle Traversiadi mi ha scritto una mia amica invitandomi ad andare a teatro con lei. Mi ha mandato i titoli di due spettacoli che ci sarebbero stati di lì a qualche giorno al Teatro Creberg e il primo mi ha colpito subito già dal titolo: “E’ questa la vita che sognavo da bambino?

La piéce teatrale con Luca Argentero, diretta da Edoardo Leo, racconta le storie di grandi personaggi dalle vite straordinarie, che hanno inciso profondamente nella società, nella storia e nella loro disciplina, sia dal punto di vista umano che sociale, con una particolare attenzione al racconto dei tempi in cui hanno vissuto. I tre i personaggi di cui vengono narrate le gesta sono il ciclista Luisin Malabrocca, l’alpinista Walter Bonatti e lo sciatore Alberto Tomba, tre sportivi italiani che hanno fatto sognare, tifare, ridere e commuovere varie generazioni di italiani.

Ho pensato che fosse un segno, una coincidenza sincronica che dovevo assolutamente “ascoltare”.  Ho acquistato il biglietto in quattro e quattr’otto e… vi racconterò.

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E’ questa la vita che sognava da bambino Walter Bonatti?

Walter Bonatti nasce a Bergamo nel 1930 e segna la storia dell’alpinismo.  Soprannominato «il re delle Alpi», è stato una delle figure più eminenti dell’alpinismo mondiale. Oltre che alpinista e guida alpina, è stato autore di libri e numerosi reportage nelle regioni più impervie del mondo, molti dei quali come inviato esploratore del settimanale Epoca.

Nel 1948 fece le sue prime scalate sulle Prealpi lombarde, ma già dall’anno successivo inizia un susseguirsi di imprese dalle difficoltà estreme, cercando soluzioni ai problemi alpinistici dell’epoca e spostando sempre più avanti i limiti dell’umanamente possibile. Per mantenersi in quegli anni svolge il duro lavoro di operaio siderurgico presso la Falck, andando sulle montagne lombarde solo la domenica dopo il turno di notte del sabato…

Se volete saperne di più, potete leggere questo articolo del Corriere della Sera appena pubblicato: Bonatti e la verità sul K2: la querelle che oppose l’alpinista al Cai
Inoltre, se questa vicenda vi appassiona, sappiate che ci sono un sacco di libri e video su Youtube che lo raccontano. Ma non solo. La rassegna cinematografica Off da qualche anno ha istituito il Bonatti day per ricordare questo grande alpinista e le gesta straordinarie che ha ispirato.

Walter Bonatti mostra fotografia

Alpinismo bergamasco al cinema

OFF – Orobie Film Festival –  è l’iniziativa che desidera diffondere la cultura e la conoscenza delle montagne attraverso il cinema.  Ogni anno lancia un concorso internazionale rivolto a registi e produttori che abbiano prodotto e girato film, cortometraggi e documentari riguardanti le cosiddette “terre alte del mondo” e, in particolare, tocca tematiche quali l’alpinismo, l’arrampicata, l’escursionismo, la natura, l’ambiente, la storia, i personaggi, gli usi e i costumi. Il concorso è suddiviso nelle consuete tre sezioni in base al territorio in cui è stata girata l’opera: “Orobie e montagne di Lombardia”, “Paesaggi d’Italia” e “Terre Alte del Mondo”.

Mentre scrivo è in corso l’edizione 2020. Se pensate che sia solo per gli appassionati (o impallinati) di montagna, be’ sappiate che ci sono anche quelli come me, che sono curiosi, che amano le belle storie, le storie di fatica e di passione sportiva, le storie di grandi uomini e luoghi meravigliosi.

Orobie film festival

Note

Le informazioni contenute in questo articolo si trovano in rete. Il biglietto dello spettacolo teatrale di cui parlo è stato regolarmente pagato, così pure il libro. 

6 comments

  1. Tante avvincenti storie unite dall’amore per la montagna, un territorio senza dubbio affascinante che invoglia a cogliere il lato più avvincente della vita 🔝👌

  2. Da bambina sognavo di fare la maestra di matematica in un periodo, in un altro volevo fare il meccanico. Si perché anche le donne possono fare i meccanici 🙂 Diciamo che non faccio ne l’una ne l’altra cosa, ma la mia vita ora è esattamente come la vorrei (ok si vorrei lavorare meno e avere più tempo libero…ma non può essere tutto perfetto).

  3. Io adoro la montagna e il senso di libertà che regala è incomparabile. Capisco chi, come i grandi alpinisti, non ne possano fare a meno. Ho letto i libri del grande Messner e ne sono rimasta completamente affascinata! Mi piacerebbe visitare quella zona che non ho ancora avuto occasione di vedere 🙂

  4. Da bambina ho sognato di fare di tutto, dalla stilista di moda alla scrittrice passando per la maestra. E sono finita a fare tutt’altro. Comunque, la montagna ha un effetto duplice su di me: da un lato mi affascina tantissimo e capisco la necessità degli alpinisti a spingersi sempre più in alto, eppure allo stesso tempo mi spaventa. Penso ai cambiamenti improvvisi dal punto di vista metereologico, al fatto che se non la conosci ti può letteralmente inghiottire. Forse proprio il fatto che affrontare la montagna a certi livelli è un modo di sfidare la morte fa sentire i protagonisti più vivi.

  5. Quando ero piccola volevo diventare una ballerina di danza classica, naturalmente non lo sono mai diventata e anche quello che sono ora non è perché l’ho deciso io, ma sono stata “portata” da una serie di avvenimenti. Sono ancora in tempo per realizzare i miei sogni e il primo passo l’ho fatto aprendo un blog, poi chissà dove mi porterà, soprattutto ora che la mia azienda sembra in chiusura…

  6. Sai che uno dei compagni di cordata di Bonatti era un famoso alpinista del mio paese natale? Si chiamava Gino Soldà e, dalle mie parti, è un mito.

Grazie di aver letto il post. Se desideri lasciare un commento sarò felice di leggerlo

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