Case d’artisti bergamaschi | La casa di Trento Longaretti in via Borgo Canale a Bergamo Alta

Quante volte ho ammirato un quadro di Longaretti, uno dei suoi mosaici o la vetrata di una chiesa realizzata su suo bozzetto, chiedendomi dove avesse preso l’ispirazione di un colore o di un particolare? Tante. E tutte senza risposta. Qualche tempo fa però ho avuto la possibilità e l’onore di visitare la casa di Trento Longaretti in occasione di una rara apertura al pubblico e la risposta è stata immediata: “nella sua casa”. Sì, perché la casa di Trento Longaretti di Borgo Canale è una di quelle case d’artista che ti mette in moto le emozioni. Potrebbero tranquillamente diventare una casa museo e in qualche modo lo è già, vista la cura e la dedizione con cui viene tenuta dalla figlia Serena. E’ un luogo intimo, pieno di arte e di amore per l’arte, pieno di spunti e ispirazione.

Trento Longaretti: operaio della pittura, poeta dell’anima

Nato a Treviglio il 27 settembre 1916, nono di tredici figli, Longaretti era uomo semplice, non amava filosofeggiare, la fede per lui era cosa concreta, faceva parte della sua vita.

«Sono un credente – diceva –. La fede dà significato alla mia vita. Sono al mondo per fare il pittore e so che questo mio fare ha un senso».

Cinque Biennali di Venezia, migliaia di dipinti, centinaia di mostre, opere in chiese e musei d’Italia e del mondo, venticinque anni di direzione dell’Accademia Carrara di Bergamo, ma lo spirito era quello di fanciullo, quello mille volte ritratto abbracciato alla madre.

L’umanità fragile e dolente di Longaretti non è abbandonata al vuoto del nonsenso e del male: protagonista ultima della sua poetica è la Provvidenza. La si avverte nell’incedere dei viandanti, nello sguardo delle madri, nella profondità degli abbracci, nella coralità del cammino, nella lievità del colore che sostiene il tutto.

Buona parte della sua produzione è stata a soggetto religioso, non solo dipinti ma anche cicli di affreschi, mosaici, vetrate. Il suo sguardo era naturalmente mistico perché sapeva cogliere l’essenziale ed è stato tra gli artisti prediletti da Paolo VI e amico di don Pasquale Macchi.

La vita di Trento Longaretti raccontata dalla casa di Bergamo Alta

Per comprendere davvero il lavoro di un artista e osservare il suo talento non basta leggere la sua vita sui libri di storia dell’arte e conoscere i titoli di tutte le sue opere: occorre conoscerne l’origine, i motivi, le suggestioni.

La casa di Trento Longaretti in Borgo Canale a Bergamo Alta è un luogo di vita e di condivisione di affetti, arredata con mobili, quadri, sculture che rappresentano la rete di legami, reale e ideali, che l’artista aveva intessuto nel corso della sua esistenza di artista e di professore d’Accademia. Visitarla offre l’occasione di fare un percorso insolito e interessante, attraverso cenni e allusioni visive, spazi abitati dall’artista e dalla sua famiglia, ma anche dagli amici, dai maestri e dai suoi allievi.

Ogni mattina, prima delle otto, Longaretti saliva nello studio luminoso della sua bella casa medievale e rinascimentale di Bergamo Alta. Si sedeva allo sgabello, afferrava con le grandi mani, ereditate dai progenitori fabbri, pennello e tavolozza e creava.
“Sono un operaio della pittura, diceva. Per essere padroni del colore occorre lavorare le otto ore quotidiane che vengono richieste a un bravo pianista. Di giorno dipingo a olio, al cavalletto, la sera amo disegnare”.

La visita alla casa di Trento Longaretti

Ci ha accolto la figlia di Trento Longaretti, Serena, architetto che vive ancora nell’edificio e che si prende cura dell’Associazione Longaretti istituita per tramandare la memoria di un artista poliedrico com’era stato il padre nella sua lunga vita. Ricordiamo infatti che di una vita lunga si tratta, visto che è morto all’età di quasi 101 anni.

Nelle mie camminate domenicali, passando da Borgo Canale, mi era sempre piaciuto passare sullo scalone per guardare la casa di Trento Longaretti, immaginandomi a volte di poter guardare Bergamo da quella terrazza.

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L’ingresso

L'ingresso e il pozzo medievale del Casa Longaretti

Entriamo dal portone nell’ingresso e la prima cosa che si nota è il cartonato di Trento Longaretti in bianco e nero, che saluta tutti. E’ una stanza di disimpegno che porta ai piani superiori, ma da qui si accede anche al garage dove si trova una Cinquecento rosso Ferrari del 1974 usata dalla figlia dell’artista, prima, passata poi alla nipote al compimento del 18° anno e ritornata alla prima proprietaria.

In un angolo con un dislivello di un metro rispetto alla pavimentazione, si trova invece un pozzo medievale che in un lontano passato serviva per far defluire le acque piovane del borgo da monte a valle. E’ stato trovato durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio intorno agli anni Novanta ed è stato rimesso in funzione grazie ad una pompa idraulica che scongiura, in caso di troppo pieno, di far fuoriuscire l’acqua e allagare tutto.

Della ristrutturazione si era occupata la figlia Serena, con la supervisione e il consiglio del padre. Alle pareti la storia dell’edificio, nato dall’unione di tre case torri con impianti gotici duecenteschi.

Il patio di Casa Longaretti

 

Saliamo i gradini di una scala in muratura e arriviamo al patio, una zona con un tavolo per il mangiare all’aperto. Ne sono rimasta sorpresa e affascinata: è un rettangolo che guarda verso monte ma è del tutto spazio nascosto agli occhi di chi cammina fuori e non so quante volte sono passata dall’alto della scalinata senza vederlo. Anche chi passa sopra via Sudorno (nella foto in alto), ne vede pochi scorci.

Delle colonne con capitello mostrano lo stemma dei Suardo e lasciano immaginare che una monaca secoli prima, quando questo edificio era diventato un piccolo monastero sulle pendici del monte, si era occupata della ristrutturazione e unione delle tre case torri che compongono l’attuale edificio.

Per passare da un piano all’altro, esternamente, si sale su una scala molto particolare che negli anni Novanta ha sostituito una scala in legno ammalorata. E’ un manufatto molto interessante che mi ha davvero colpito: i gradini sono accompagnati da un motivo a soffietto davvero particolare che l’accompagna per tutta la salita guardando verso l’alto.

Metto la foto per farvi vedere quanto è bella. E’ stata progettata dalla figlia di Trento Longaretti, autrice della ristrutturazione. Una soluzione davvero molto affascinante.

 

L’angolo dove dipingeva Trento Longaretti: un porticato pieno d’arte

Il porticato dove dipingeva Trento Longaretti era stato trasformato in veranda e chiuso da vetrate. L’angolo dove dipingeva è esattamente come l’ha lasciato pochi giorni prima di finire in ospedale e morire: con i tubetti di colori ad olio, con la sua sedia, le cornici, il cavalletto e gli strumenti musicali.

Tendine in lino bianche proteggevano dalla luce proveniente da Nord. E davanti a lui uno degli immancabili strumenti musicali che si trovano anche all’ingresso. Quelli che dipingeva e che per lui rappresentavano la poesia.

L’archivio di Trento Longaretti

 

Qui si trovano delle scaffalature con l’archivio delle opere ordinate secondo le regole degli archivi e decine di opere di amici dell’artista alle pareti. E poi c’è l’armadione: un armadio in legno di noce imponente che contiene ancora oggi le lettere scritte agli amici e alla fidanzata, poi diventata moglie subito dopo la guerra.

Queste lettere “cercano” uno o più studenti di storia dell’arte che abbiano voglia di catalogarle e studiarle e che siano capaci di interpretare e restituirci il pensiero e la concezione dell’arte di questo grande artista e la sua poetica. E’ quanto ci ha detto Serena Longaretti, quando ci ha mostrato il plico di lettere di suo padre, accarezzandole con rispetto e affetto.

La biblioteca dell’artista Longaretti

Un luogo straordinario, dove ogni libro letto, ogni quadro appeso alla parete, ogni angolo è un luogo d’arte del Novecento. E’ emozionante scorrere i titoli dei libri d’arte che si trovano negli scaffali, così come è emozionante trovare quelli che parlano di lui, della sua produzione d’arte, dei suoi studi, della sua lunga vita.

La quadreria e gli oggetti d’arte scelti e appartenuti a Longaretti

Appesi alle pareti quadri selezionati dall’artista mentre era in vita: sono quelli di suoi amici pittori, maestri d’arte, allievi diventati artisti nel corso degli anni. Una collezione d’arte di meravigliosi artisti del Novecento, bergamaschi e non: Ennio Morlotti e Bruno Cassinari, il maestro Aldo Carpi, Filippo de Pisis, Achille Funi, Mario Sironi, Afro Basaldella, Gianfranco Ferroni, Georges Rouault, Marc Chagall, Francisco Goya, Zoran Music, Odilon Redon, Ma non solo. Anche piccole sculture o ceramiche d’artista di Umberto Mastroianni, Mario Negri, Virginio Ciminaghi, Giacomo Manzù, Attilio Nani e di molti altri ancora.

La bellezza e  l’importanza di visitare la casa di un’artista

Quanto contano i luoghi per un artista? Quanto incide il contesto sull’ispirazione? Che cosa ci dicono la casa e lo studio di un pittore sulle sue scelte di gusto e la sua visione del mondo? La risposta è una sola: ci dicono moltissimo. Un grande artista non è solo le sue opere, è le persone che ha conosciuto, i luoghi che ha visitato, le case in cui ha vissuto, la sua famiglia. E se a raccontarcelo è qualcuno che l’ha conosciuto davvero, come un figlio o una figlia, ci sono emozioni che che nessun altro può trasmetterci con la stessa intensità.

Avevo già avuto la possibilità di visitare un’altra casa di un artista bergamasco un pomeriggio, la casa di Sandro Angelini con una guida d’eccezione come il figlio Piervaleriano. In realtà avevo visitato in quell’occasione lo studio-atelier, ma devo dire che già aver avuto la possibilità di entrare in quelle due stanze era stato privilegio di cui sono ancora grata.

Ecco perché, appena mi hanno segnalato la possibilità di visitare la casa di Trento Longaretti  non me lo sono fatta ripetere due volte e mi sono iscritta per partecipare all’evento. Scrivere questo articolo è quindi un po’ come fissare i ricordi di quel pomeriggio straordinario e invogliare tutti voi a farlo, non appena se ne ripresenterà l’occasione. Credetemi. Ne vale la pena.

 

Note: le foto sono in parte mie e sono in parte di Barbara Savà. 

 

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