Se oggi il termine calepino vi fa pensare ad un buon bicchiere di vino Valcalepio bergamasco, in origine questo termine veniva utilizzato soltanto per indicare un vecchio volume erudito, prevalentemente un vocabolario, o comunque un tomo antiquato, corposo quanto malandato. Un sostantivo che, sia che si parli di vino sia che si parli di vocabolari antichi racconta una storia tutta bergamasca. E oggi vi voglio raccontare quella più intrigante, ossia alla storia del Dizionario compilato da un operoso frate bergamasco del convento di Sant’Agostino di Bergamo, che nella seconda metà del Cinquecento realizzò il primo Dictionarium latinum, meglio conosciuto come Calepino di Ambrogio da Calepio.
Il Calepino fu un lavoro di studio e compilazione lessicografico enorme. Il suo autore ci mise 15 anni per arrivare alla prima edizione che andò in stampa nel 1502. Nessuno immaginava che quel corposo volume sarebbe diventato uno dei primi best seller e long seller editoriali della storia e un modello per i futuri vocabolari nei secoli a venire. Basti dire che tra il 1502 e il 1779 del Calepino vennero stampate oltre duecento nuove edizioni, pressoché una all’anno, un ritmo tutt’altro che frequente nell’antica arte della stampa.
Ecco quello che troverete in questo articolo
Ambrogio da Calepio: chi era il frate autore del Calepino

Ambrogio Calepio era nato tra il 1435 e il 1440 e sarebbe morto nel 1510-11. Era figlio illegittimo, per quanto poi riconosciuto, del nobile conte Trussardo Calepio del Castello di Calepio (potete trovare notizie di questo castello in questo articolo), che gli assicurò una buona formazione culturale. Iacopo, questo il suo nome di battesimo, entrò infatti nel Convento Sant’Agostino di Bergamo e alla professione religiosa nel 1459 prese il nome di Ambrogio.

Come tutti i frati agostiniani che avevano studiato – Ambrogio studiò a Mantova, Cremona e Brescia – avrebbe dovuto dedicarsi alla predicazione. Ma per un difetto di natura, non si sa bene quale, si è pensato a una balbuzie o a un’eccessiva timidezza, rinunciò alla predicazione. Si diede allora allo studio dei classici, che era forse la sua vera vocazione. Lesse molto, con amore, regolarità e metodo, le opere dei grandi autori classici e dei padri della Chiesa. E fu proprio su questi classici che concepì l’idea di compilare un dizionario latino. Fu l’opera di tutta la sua vita.
Umanista e latinista, dedicò più di 15 anni per restaurare una buona conoscenza della lingua latina, guastata dai modernismi (di allora) e dall’uso nelle scuole e nelle professioni degli anni a cavallo tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento.
C’è da dire che non era stato l’unico: lo stesso obiettivo si era riproposto un altro grandissimo scrittore lombardo, Teofilo Folengo, facendosi allegra beffa degli eruditi da strapazzo con il suo raffinatissimo latino maccheronico. Ma Ambrogio da Calepio fece qualcosa che gli altri non avevano fatto e lo vedremo più sotto.
Calepino: dalla versione a una lingua a quella a undici lingue

Frate Ambrogio lavorò per una quindicina di anni alla prima edizione del 1502, apparsa con il titolo Ambrosii Calepini Bergomatis Dictionarium. Confortato dal successo del libro, nonostante la stampa non particolarmente eccelsa e piena di errori che lo avevano particolarmente irritato, Ambrogio si dedicò ad integrare e correggere il suo dizionario latino monolingue. Ma la vera svolta si ebbe con la stampa del 1509, quando le lingue con cui l’opera veniva pubblicata diventarono quattro: ebraico, greco, latino e italiano.
Nel 1520, il bergamasco Bernardino Benaglio stampò la ventiquattresima edizione del Calepino, che è considerata quella definitiva. Il frate era morto ormai da una decina d’anni, ma il suo nome avrebbe circolato per tutta l’Europa, associato per sempre alla geniale opera poliglotta che aveva inventato.
Nel Seicento venne pubblicata la versione in cui le lingue erano salite a sette: latino, greco, ebraico, italiano, tedesco, francese, spagnolo. E alla fine del Seicento le lingue arrivarono addirittura a undici!
Il peso della cultura superava i 5 chili!

È facile immaginare come l’introduzione della traduzione dei lemmi latini abbia recato ulteriore fama, e di ampiezza europea, al Dizionario, che si trova nella felice condizione di soddisfare una duplice esigenza: quella, più tradizionale, di spiegare il significato del termine latino e quella, più innovativa, di servire alla traduzione dal latino in una delle lingue moderne.
L’inserimento della traduzione del lemma latino, l’aggiunta di molti nuovi lemmi e l’ampliamento del corpo delle voci fece sì che il Dizionario, pur conservando l’impianto di fondo originario, crebbe nel tempo di pagine e, soprattutto, di mole. Il Calepino dell’edizione di Ginevra 1620, ad esempio, misurava cm 39 di altezza, cm 26 di larghezza, cm 10 di spessore, contava 1742 pagine e pesava 5 chili e 700 grammi.
Perché il Calepino ebbe così tanta fortuna?
#1 Necessario il ricorso al dizionario latino
#2 Strumento lessicografico per un pubblico eterogeneo
#3 Strutturato con un metodo chiaro e di facile consultazione
#4 Traduzione dei lemmi nelle principali lingue europee
Una delle più ricche collezioni di Calepini si trova in Piazza Vecchia a Bergamo
Cosa ci racconta questa collezione di Calepini
La collezione di Calepini che appartiene oggi alla Biblioteca Angelo Mai ha permesso di scoprire non solo la storia di questo successo editoriale, ma anche chi erano i possessori di questi imponenti volumi e l’uso che ne facevano.
Dei 52 calepini sappiamo infatti che 42 erano di proprietà di ecclesiastici. Di questi, 10 venivano utilizzati nelle scuole e per lo studio e lo sappiamo dalle note a margine che si trovano sulle oltre mille pagine. Siamo venuti a conoscenza anche che alcuni istituti scolastici ne facevano dono agli studenti più meritevoli. Il resto appartennero a importanti famiglie bergamasche che ne hanno fatto dono alla Biblioteca.
C’è addirittura un calepino sulla cui copertina sappiamo che qualcuno giocò a dama o a scacchi, essendoci disegnata sopra una scacchiera. Se questo vi può sembrare sacrilego, dovete pensare che questo volume era davvero imponente e veniva tenuto a portata di mano nelle case o negli studi dei vari possessori. Tanto imponente e solido da poter diventare tranquillamente una scacchiera o un tavolino da appoggio quando non veniva utilizzato come dizionario. Del resto, chi di noi non ha mai usato il Castiglioni Mariotti come appoggio per tazze e bicchieri?
Una mostra per ammirare 13 esemplari rarissimi
Tredici rarissimi esemplari del Calepinus del frate agostiniano Ambrogio da Calepio saranno esposti a partire da venerdì 15 settembre 2023 al 15 ottobre nella sede dell’Ateneo di scienze, lettere, arti, in via Tasso 4, a Bergamo. Quelli che il lettore potrà ammirare nelle teche dell’Ateneo sono i preziosi testimoni di uno dei più straordinari fenomeni editoriali dell’età moderna, tutti di provenienza privata che difficilmente troverete esposti altrove.
Se volete approfondire la storia del Calepino e del suo autore, vi consiglio di leggere questa interessantissima intervista di Cristian Toresini a Giulio Orazio Bravi, ricercatore ed ex direttore della Biblioteca Angelo Mai.
Vi è piaciuta la storia del Calepino di Ambrogio da Calepio?
Ciao, io sono Raffaella e sono l’autrice di cosedibergamo.com, blog indipendente attivo dal 2017 che vi suggerisce cose da fare a Bergamo e in provincia almeno una volta nella vita.
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Note
Le informazioni contenute in questo articolo sono tratte dalle pubblicazioni di Giulio Orazio Bravi e dall’intervista citata. Le foto, dove diversamente segnalato, sono mie.
Bello l’ articolo. Segnalo che il francese ha la parola “calepin”, che per loro significa “taccuino”, o “agenda” . Apparentemente c’ entra poco col dizionario di Ambrogio da Calepio. Però il dizionario francese Larousse indica come origine della parola “de A. Calepino, nom propre”. Quindi i francesi, senza saperlo, ci sono debitori
Grazie. Bellissimo commento.