Gandino e mais spinato

Scopriamo Gandino e il Mais Spinato con il documentario di Daniele Gangemi andato in onda su Raitre (Geo 10.10.2022)

Gandino e il mais spinato. Siete mai stati a Gandino? Gandino è un piccolo paese di montagna, dove arte e storia creano un dipinto dalle tinte accese e variopinte, dove l’arte e la storia di intrecciano con la manifattura dei panni lana, e dove l’agricoltura diventa una storia prima dimenticata e poi riscoperta grazie a un piccolo seme. A raccontarci tutto questo è Daniele Gangemi con il suo documentario “Lo spinato di Gandino”.

A volte i viaggi si possono fare stando seduti comodamente in poltrona, grazie alle immagini di un documentario ben fatto. Ed è questo il caso del documentario su Gandino e il mais spinato che è andato in onda su Raitre nella trasmissione GEO il 10 ottobre 2022 su Raitre. L’ho visto e me ne sono innamorata e ho deciso di raccontarvelo per farvi venire voglia di guardarlo e di andare alla scoperta di Gandino.

Gandino: dai panni lana al mais spinato

Gandino (BG)

La storia del Mais Spinato di Gandino affonda le sue radici nel 1632, anno che segna la prima coltivazione in Lombardia di granoturco e che, nel giro di pochi anni, soppianta il grano e l’ulivo e diventa preponderante in tutto il territorio. Un destino agricolo che avrebbe dovuto essere tale anche nel piccolo borgo medievale di Gandino, situato sulle pendici delle Orobie, a pochi chilometri da Bergamo,  se non fosse che in questa valle si era sviluppata invece sin dal 1200 la più fiorente produzione di panni-lana d’Europa. E proprio per questa produzione così importante da viaggiare persino nel Nord Europa, a Gandino, l’agricoltura si perse e rimase per secoli solo per le piccole necessità familiari.

Ma i casi della vita possono trasformare la storia e, da paese con una forte cultura imprenditoriale tessile, Gandino inizia una storia tutta nuova. Nel 2008, in seguito ad un casuale ritrovamento di una vecchia pannocchia, inizia, dopo un attento lavoro di recupero, la produzione del mais spinato, un mais antico che diventa in poco tempo identitario del paese. 

Il documentario Lo Spinato di Gandino

Lo Spinato di Gandino documentario

Le riprese del documentario Lo Spinato di Gandino cominciano in località Cà Parecia (culla del progetto di valorizzazione e degli antichi semi del Mais Spinato), dove Daniele Gangemi ha seguito le operazioni di semina di questo antico seme filmando la famiglia Savoldelli.

Il racconto dell’intera filiera del mais spinato grazie a parole e immagini si intreccia con la storia dei mercanti locali di panni-lana, che contribuirono in maniera decisiva allo sviluppo del borgo medievale, dominato dalla monumentale Basilica di Santa Maria Assunta e caratterizzato dalle ricche dotazioni del centro storico e del locale Museo.

Mentre guardavo  il documentario ho riconosciuto i luoghi. Ho addirittura riconosciuto le persone riprese tra una scena e l’altra (c’è persino l’imprenditore che lavorato alla realizzazione delle copie certificate della Sacra Sindone, altro progetto importante della Val Gandino). Un’emozione continua che viene da immagini, suggestioni e storie custodite nella memoria di chi quei luoghi li sa raccontare.

Arte e storia a Gandino

basilica di Santa Maria Assunta di Gandino

Le numerose vie di Gandino custodiscono tesori nascosti tutti da scoprire. A dispetto del numero esiguo di abitanti, questo paese colpisce per la quantità di edifici storici. Si contano ben 7 chiese nella sola Gandino, per arrivare a 13 con quelle delle frazioni circostanti. Su tutte spicca sicuramente la Basilica di Santa Maria Assunta, gioiello barocco dell’arte bergamasca, la cui facciata principale cela lo sfarzo interno delle decorazioni, con elementi architettonici e pittorici di notevole valore, come ad esempio il ciclo di dipinti di Giacomo Ceruti. Qui, lo sviluppo dinamico dello spazio è fatto risaltare dal superamento della tradizionale pianta a croce latina. Mentre la grande cupola ottagonale, interamente affrescata, lascia il visitatore senza fiato.

La piazza antistante la chiesa è un luogo simbolo per la storia di Gandino. Qui nel 1233 venne sancito dal popolo gandinese l’Atto di Emancipazione dalla famiglia feudataria dei Ficieni che troviamo raccontato anche in un dipinto conservato in paese. Nel salone della Valle, a pochi passi dal Municipio è tutt’ora conservato lo scritto originario: una pergamena lunga oltre 6 metri dove sono trascritte le procedure e i pagamenti per l’autonomia. Si parlava di tanti soldi, ma questo non fermò la voglia di indipendenza dei gandinesi che furono disposti a pagare pur di diventare padroni delle proprie terre.

Non mancano sorprese anche tra i palazzi nobiliari: soffitti abilmente affrescati, giochi prospettici lungo i porticati, esterni signorili che si affacciano su ampi giardini lussureggianti. Una passeggiata nel centro storico è l’occasione per ammirare un susseguirsi di palazzi, chiese e torri, tra cui spiccano il quattrocentesco Palazzo del Vicario (oggi palazzo comunale), con la sua tradizionale struttura porticata dei broletti lombardi, e il palazzo del Salone della Valle. Numerose sono anche le dimore delle antiche famiglie laniere che dal XV al XVIII secolo resero Gandino celebre in tutta Europa.

La manifattura tessile di Gandino: un fiorente commercio

GANDINO-Tintoria-degli-Scarlatti

Tutta questa ricchezza, difficilmente rintracciabile in un borgo di montagna, è legata all’esplosione della manifattura tessile che si è sviluppata in questa valle a partire dal Seicento. Come testimonia il Museo adiacente alla Basilica, dove è possibile ammirare preziosi paramenti, ma anche gli antichi macchinari dell’epoca e i famosi panni lana da cui si ricavavano le divise dell’esercito austro-ungarico e i mantelli utilizzati dai pastori durante la transumanza. Una tradizione che attraversò le terre della Serenissima e  che permise ad alcuni dei produttori più importanti di impiantarsi a Venezia, divenendo mercanti di stoffe così ricchi da poter acquistare un titolo nobiliare ed entrare a far parte del Senato veneziano.

Tale fu la maestria nel colorare tessuti di lana che lo stesso Garibaldi rimase affascinato dalla vivacità del pregiato scarlatto di Gandino, definito dai documenti dell’epoca “di una lucentezza insuperabile“, tanto da affidare ad artigiani gandinesi l’appalto per la tintura delle storiche Camicie Rosse dei Mille. A proposito, pare che nell’archivio della Torri Lana di Gandino ci siano i dettagli dei tessuti prodotti a metà dell’Ottocento per la produzione  delle storiche camicie garibaldine, prodotte poi da un Consorzio  della Val Gandino.

Per saperne di più, leggete anche: Famolo strano (1000 volte) | Scopri perché Bergamo è detta Città dei Mille.

La storia della coltivazione del Mais Spinato di Gandino

Mais-Spinato-di-Gandino-foto-Marco-Presti
Foto Marco Presti

Ma eccoci arrivati alla seconda vita di Gandino. Quella che ha preso il via nel 2008 con la scoperta di un’antica pannocchia di mais spinato. Questa varietà di mais fu la prima a giungere in Lombardia nel 1600. Filippo Lussana pubblicò uno studio che certificava la coltivazione a Gandino in località Clusven nel 1632, nei terreni della famiglia Giovanelli, ricchi commercianti di panni lana di cui la Valle è da secoli produttrice.

Nel 1617 il mais era arrivato nei territori legati a Venezia, e in particolare nel Bellunese, nelle terre del nobile Benedetto Miari. Coevi di Miari erano l’allora Patriarca di Venezia, il barone Federico Maria Giovannelli, e i baroni Benedetto e Andrea Giovanelli, Procuratori della Repubblica veneta, tutti originari di Gandino.

In entrambi i casi si tratta di mais con i chicchi dalla forma appuntita: nel Bellunese si parla di “Sponcio”, a Gandino di “Spinato”. Si pensi che Matteo Bonafus, direttore del Giardino Reale d’Agricoltura di Torino, pubblicò nel 1833 una schedatura delle varietà di mais che ha fatto da riferimento per tutti gli studiosi. Nel 1842, in una specifica integrazione, aggiunse proprio il mais “rostrato” o “Spinato”, utilizzando la dicitura francese di “Mais a Bec”.

La Cà Parecia custode del Mais Spinato

Cà-Parecia-antica Gandino

Nel 2008 i semi originali del Mais Spinato® vengono recuperati e isolati nella Cascina Parecia, grazie ad un’antica pannocchia conservata dai nipoti di anziani contadini della famiglia Savoldelli. La coltivazione segue metodi sostenibili ed è legata al metodo biointensivo, che consente di aumentare la resa e la qualità della produzione attraverso una lavorazione del terreno che non prevede in alcun modo l’uso di componenti chimici. Testimone di questa produzione è la famiglia Savoldelli che della salvaguardia e valorizzazione del mais Spinato di Gandino ne ha fatto una ragione di vita. Tutto questo lo troviamo tratteggiato nel documentario di Daniele Gangemi.

Il Mais Spinato® è oggi tutelato come varietà agricola da conservazione ed i suoi semi sono conservarti nel Global Seed Vault, il deposito mondiale dei semi da salvare creato sotto i ghiacci delle isole Svalbard in Norvegia. Ad Expo Milano 2015 la Comunità del Mais Spinato di Gandino® ha rappresentato l’Italia al Cluster Cereali e Tuberi, di cui è stata partner scientifico. Dal 2016 il Mais Spinato di Gandino® accompagna le degustazioni mondiali di “Benvenuto Brunello” del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino.

La coltivazione del Mais Spinato nel racconto per immagini di Michele Gangemi

Gandino e il mais spinato

Con l’estate alle porte, i dischi affilati della zappatrice meccanica, metro dopo metro, sminuzzano la terra eliminando così le erbacce. Terminata la fresatura, dopo una ventina di giorni, prende avvio la fase delicata della semina. Tutto si svolge ancora a mano.  Con il rigone, una sorta di righello di legno con spuntoni di ferro, si solva la linea al di sopra della quale a distanza ravvicinata di 20-25 cm circa si vanno a collocare piccoli semi. gestualità che rimandano al secolo scorso, sopravvissute ai giorni nostri, grazie alla tenacia e alla forza di questi uomini, coltivatori custodi del patrimonio secolare di questa terra.

A inizio giugno si torna nuovamente sul campo. Occasione per monitorare la crescita delle piantine e avviare una sorta di cooperazione naturale. Si pianta un fagiolo e questo cederà l’azoto al mais come nutrimento. E a sua volta il mais gli fornirà una solida struttura di appoggio. La zucca, invece, con le sue grandi foglie, favorisce il giusto microclima, limitando così la crescita delle erbacce.

Per secoli la scartocciatura del mais ha rappresentato un momento di aggregazione e socialità per gli abitanti del paese. Le pannocchie venivano spogliate dalle foglie esterne e appese ad essiccare su travi di legno. Attraverso gestualità secolari, il mais viene sgranato. I chicchi di mais detto spinato per la caratteristica forma, riconoscibile dalla punta conica dei semi, detta appunto spina. Da qui il nome della varietà.

Dal chicco alla Spianata, un viaggio nella storia del Mais Spinato

Pizza Spinata Gandino

Dopo la sgranatura, i chicchi vengono portati al mulino. Dai bocchettoni del mulino escono tre tipologie di farina tra cui la bramata integrale (particolarmente indicata per la preparazione della polenta). La storica farina macinata viene portata al forno di Gandino, dove ha termine la filiera tutta gandinese del mais spinato. Il chicco, trasformato in farina, diventa dopo un’abile preparazione la “Spinata”, una profumata pizza, con il condimento a chilometro zero della valle, che racchiude anche nel nome tutto il suo debito con il mais spinato di Gandino.

Chi è Daniele Gangemi

Daniele Gangemi, nativo di Sarnico, ha lavorato per settimane in Val Gandino. Ha seguito le fasi di semina da parte di una famiglia del luogo, custodi dell’antico seme del Mais Spinato, intrecciando immagini e racconto con l’epopea dei mercanti di panni lana con grande maestria.

Gangemi, bergamasco, prima di diventare documentarista ha lavorato per molto tempo come montatore per dei TG nazionali (Sky, Rai e Mediaset), che gli ha permesso di acquisire il linguaggio televisivo, fondamentale per raccontare una storia in pochi minuti.

Raccontare storie e andare nei luoghi è la chiave per fare dei documentari interessanti. Lo storytelling è la base per far si che gli spettatori guardino un prodotto fino alla fine. Daniele Gangemi è in grado di raccontarci la Bergamasca con un grado di fascinazione pazzesco. Il suo racconto è davvero immediato e ispirante.

Per vedere il documentario integrale ecco il link alla puntata pubblicata su Raiplay. Si trova al minuto 01.14.22.

Note: le immagini sono tratte dal documentario di Daniele Gangemi, andato in onda lunedì 10 ottobre su Raitre durante la trasmissione GEO. Le informazioni su Gandino sono tratte dal racconto di Gangemi e integrate con altre notizie e informazioni di storia locale.
Se volete saperne di più su Daniele Gangemi e sul suo lavoro di documentarista ecco Link al suo sito

 

4 comments

Grazie di aver letto il post. Se desideri lasciare un commento sarò felice di leggerlo

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.